Varese da scoprire
Raggiungiamo il
centro di Varese percorrendo la SS394, al termine di Via Silvestro Sanvito
entriamo obbligatoriamente a dx in Via Verdi e lasciamo l’auto nel parcheggio a
pagamento dei “Giardini Estensi”.
Ci dirigiamo quindi verso il Palazzo Estense ed i suoi famosi Giardini (1)
Il “Palazzo Estense” settecentesco è dal 1882 sede del “Municipio di Varese”, dopo essere stato l’abitazione del commerciante Orrigoni sino al 1765. Fu in seguito la residenza di Francesco III d’Este Duca di Modena, Capitano Generale e amministratore del Ducato di Milano e dal 1776 feudatario di Varese e della sua signoria. Francesco d’Este diventò signore dell’oppidum di Varese (con Biumo Superiore ed Inferiore, Casbeno, Cartabbia, Giubiano, Bosto e Cascina Mentasti) il 23 giugno 1765 e prese possesso della acquisita casa ex Tomaso Orrigoni il 29 luglio 1766 in località fuori “Porta Campagna”. La villa venne ristrutturata e ampliata a partire dal 1766, su progetto dell’Ing. Camerale di Milano Giuseppe Antonio Bianchi; nel medesimo periodo fu realizzato il giardino alla francese (dal 1766 al 1771) con l’elegante parterre posto fra il palazzo e la collina belvedere (“Castellazzo”). La prospettiva si sviluppa dapprima in piano, col viale centrale che raggiunge una vasca circolare e poi sale con vialetti aperti a raggiera e con scalinate, contornata da due simmetrici berceaux di carpini che conducono fino alla sommità del Belvedere. Al centro dell’altura venne poi collocato un ninfeo ancora oggi presente nelle sue forme fondamentali con tre nicchie rivestite da concrezioni in calcare e statue. Le aiuole del parterre, simmetriche, sono alla francese e sono attraversate da un viale centrale che dal porticato conduce alla base della collina. Venne spianata la cima del colle del “Castellazzo” e rimodellato ad anfiteatro il rilievo morenico di fronte al Palazzo. Per soddisfare la passione del Duca per la caccia, si adattò una parte del parco a roccolo con querce, olmi e castagni. Francesco III d’Este morì nel 1780 ed oggi è sepolto al cimitero monumentale di Giubiano. Dal 1780 al 1837 vi furono vari passaggi di proprietà secondo gli assi ereditari finché nel 1837 la proprietà passò dagli Estensi al Dott. Carlo Pellegrini Robbioni fino al 1850 (eccezione fatta per gli anni 1846-47 - proprietà Adamoli). Carlo Robbioni ridisegnò parzialmente il parco, modificandolo secondo i canoni del “giardino romantico” mediante la creazione di nuovi percorsi e la messa a dimora di numerose specie di conifere nella zona del laghetto dei cigni. Adiacente all’ala ovest del palazzo, Carlo Pellegrini Robbioni costruì una filanda per la lavorazione della seta, mentre al confine con la proprietà di Villa Mirabello fu realizzata dal medesimo nel 1846 la “Torre Belvedere”. Nel 1850 la proprietà passò a Cesare Veratti, nipote del Robbioni, il quale proseguì la trasformazione del parco (zona sud occidentale) ispirandosi ai modelli del giardino all’inglese : vennero inseriti aiuole flessuose, boschetti, ruscelli, posti come se fossero spontanei. Furono aggiunte piante estranee al giardino italiano, fra le quali il Ginkgo Biloba, situato a lato del laghetto e davanti a dei faggi. L’albero ha un’altezza di quasi 30 mt e una circonferenza di più di 3 mt ed in autunno le foglie a ventaglio diventano dorate contrastando con la colorazione rossiccia dei faggi. Nel 1882, il complesso venne acquistato dal Comune di Varese. Il parco aprì per la prima volta al pubblico il 25 marzo 1883, ma solo alla fine del XIX secolo venne dato all’agrimensore Luigi Cremona il compito di eseguire uno studio dettagliato circa le sorti del parco e le modalità di fruizione dello stesso.
Giunti in cima al “Colle
Mirabello” troviamo la magnifica “Villa Mirabello” (2) ed il suo Parco.
I primi dati certi sull’edificio risalgono agli anni Trenta del Settecento quando l’abate Giulio Cesare Negri lasciò il terreno con le unità abitative ai propri domestici i coniugi Carlo Tamborini e Maria Pallavicini. Costoro nel 1737 vendettero la proprietà con i due edifici, l’abitazione e la casa colonica posta al limitare dell’attuale piazza Motta al possidente milanese Felice Clerici, mercante di stoffe con cui la dimora sul Colle Mirabello divenne luogo di villeggiatura. Nel 1788 Villa Mirabello fu comprata da Gaetano Stampa, marchese di Soncino, e rimase di proprietà della famiglia fino al 1836 quando la dimora andò all’asta. Dell'antica costruzione rimane solo l'Oratorio della Beata Vergine Addolorata, progettato nel 1767 da Giuseppe Veratti, architetto varesino. La proprietà venne acquistata da Luigi Taccioli, esponente di una ricca famiglia milanese dedita al commercio serico. All’arch. Luigi Clerichetti, il Taccioli affidò la ristrutturazione dell’edificio in stile gotico inglese. Già nel 1839 aveva iniziato i lavori di abbellimento della casa colonica posta verso P.za della Motta che venne trasformata nella scuderia (sede attuale di Varese Corsi, ex Liceo Musicale) e portineria; venne inoltre realizzato un nuovo ingresso con cancello, che ancora oggi costituisce l’accesso alla Villa dalla “P.za della Motta” (3). Durante i lavori di ristrutturazione voluti dal Taccioli venne costruita anche una serra in ferro battuto prospiciente alla Villa. La proprietà fu poi acquistata dai marchesi Litta Modignani. Nel 1948 la Villa Litta Modignani ed il suo parco furono acquisiti dal Comune e così il parco venne unito ai Giardini Estensi, i locali dell’edificio furono adibiti a sede dei “Musei Civici” inaugurati nel 1949. La Villa è oggi sede del “Museo Archeologico” : al suo interno nelle due sezioni, una preistorica e una romana, sono esposti reperti ritrovati sul territorio varesino e limitrofi. Nell’area preistorica si trovano numerosi reperti provenienti dall’Isolino Virginia, il più antico insediamento palafitticolo dell’Arco Alpino, dal 2011 patrimonio mondiale dell’UNESCO. Il Museo ospita inoltre una piccola ma importante sezione risorgimentale.
Il bellissimo parco (in stile inglese) contiene alberi ultra centenari fra i quali il monumentale Cedro del Libano (la cui altezza supera i 28 metri e la circonferenza del fusto raggiunge quasi i 9 metri), al quale si accompagnano altri undici alberi monumentali recentemente georeferenziati : alcune magnolie, lecci, tigli e platani. Un deciso rinnovamento della componente arborea ci consente di ammirare anche essenze tipiche del collezionismo botanico inglese quali Ginkgo biloba, Quercus suber, Cercidiphyllum japonicum, Libocedrus decurrens, Abies nordmanniana oltre a novelli platani.
Finita la
visita scendiamo il sentiero che ci conduce all’entrata pedonale di “P.za della
Motta” (3).
Il nome deriva
dalla conformazione della piazza posta su una collinetta. In passato era
situata all'esterno delle mura e qui, sin dal Medioevo, ogni lunedì si teneva
il mercato cittadino e annualmente quello dei cavalli.
Nella Piazza sorge
la “Chiesa di Sant'Antonio Abate”, rimodernata alla fine del XVI secolo
dall'architetto Giuseppe Bernasconi per volere del Cardinale Carlo Borromeo. La
facciata è sobria, con un portone d'ingresso e due portali laterali; sulla
sinistra si trova la statua del Santo protettore degli animali. L'interno è
decorato con affreschi rococò realizzati dal pittore Giovan Battista Ronchelli di
Castello Cabiaglio seguendo le quadrature architettoniche di Giuseppe Baroffio del
1756 e la cupola affrescata si apre verso il cielo, ampliando lo spazio
interno. Al centro dell'aula c'è una seicentesca statua in legno di
Sant'Antonio, mentre nelle nicchie vi sono quattro santi anacoreti in
terracotta. Alle pareti sono appese numerose tele come la “Madonna con San
Carlo Borromeo” di Giovan Lanfranco sulla controfacciata, la “Madonna di
Loreto con i SS. Marta e Agostino” di Giovan Battista Trotti sulla parete
destra. Nella cappella di sinistra si trova l'antico altare maggiore, sopra il
quale spicca l'Adorazione dei Magi della fine del Cinquecento o inizi del
Seicento. Il 17 gennaio si svolge la Festa di Sant'Antonio Abate : la
notte della vigilia, secondo l'antica tradizione, si accende il falò in onore
del Santo.
Appoggiato al muro di recinzione del Parco di Villa Mirabello è collocato un Monumento con fontana opera di Angelo Frattini, eretto in ricordo delle vittime degli incidenti sul lavoro : si celebra il 5 ottobre di ogni anno la giornata a loro dedicata.
In P.za della Motta, su una torretta, si può ammirare anche la più antica meridiana di Varese : rappresenta un piccolo Bacco inghirlandato con in mano un calice di vino. Indica il tempo secondo le ore italiche, cioè da tramonto a tramonto : l'ora XXIV segna il tramonto del sole, la fine della giornata e l'inizio di quella successiva; il quadrante va letto chiedendosi "Quante ore mancano al tramonto?".
Scendiamo a sx in Via Carrobbio dove, al civico 11, si trova il portone d’accesso a “Casa Lucchini-Gergati” (4).
Questo edificio è uno dei rari esempi nel centro di Varese che ancora conserva elementi decorativi, sia architettonici sia pittorici, ascrivibili all'epoca tra gotico e rinascimento. Le ultime ricerche archivistiche hanno appurato che questa casa era appartenuta fin dai primi decenni del Quattrocento a una famiglia di pittori che ha operato a Varese e nel territorio dalla fine del '300: i De Campanigo.
In
corrispondenza del civico 8 di Via Carrobbio imbocchiamo la galleria che ci
conduce in P.za Ragazzi del ’99 da cui usciamo in Via Giuseppe Bernascone.
Di fronte a noi
si apre “P.za Monte Grappa” (5), cuore della città.
Anticamente era denominata Piazza Porcari, chiamata dai varesini anche Piazza Padella. Quando nel 1927, Varese divenne capoluogo di Provincia, per dare un aspetto più moderno e rappresentativo alla città il Comune bandì un concorso per la sistemazione e l'ampliamento della Piazza Monte Grappa. Il concorso fu vinto nel 1934 dall'architetto romano Mario Loreti, già autore a Varese del Palazzo Littorio (ora sede della Questura a Casbeno). Per la sua realizzazione fu abbattuto un intero quartiere. La piazza fu progettata con forme piacentiniane, esibendo la sobria essenzialità di edifici lineari, ritmati da portici ad arcate. Sul lato destro si erge la Torre Littoria, alta 54 metri, mentre il fondale della monumentale scenografia è costituito dal Palazzo delle Corporazioni (l’attuale Camera di Commercio). Il Loreti, oltre ad edificare il palazzo porticato, appoggiato alla Torre Littoria (1937-39 ora Torre Civica), che era destinato a abitazioni private, progettò anche le altre costruzioni che prospettano sulla piazza: il palazzo delle Assicurazioni RAS (1935), il palazzo dell'INFPS (1939, ora INPS) e il palazzo Castiglioni (1937-39) oltre alla fontana sita in posizione centrale. Gli ultimi lavori di sistemazione della piazza risalgono al 2005 secondo il disegno dell'artista Morandini.
Lasciamo ora P.za Monte Grappa attraversando sulle strisce pedonali di Via Volta e percorriamo i portici sul lato sx della stessa, dopo 50 mt entriamo a sx in P.za San Giuseppe.
Qui si nota la “Chiesa
di S. Giuseppe” (6), nata come Oratorio della contrada varesina
di Pozzovaghetto nel 1504.
La chiesa si presenta con una pianta rettangolare con abside. All’interno si conserva la divisione tra l’aula pubblica e il coro, riservato ai membri della confraternita. La raffinata facciata barocca, progettata nel 1725 dall’arch. varesino Giovanni Antonio Speroni, a sostituzione della precedente cinquecentesca, è scandita da lesene corinzie e da un alto cornicione. Nella sezione inferiore si trovano due nicchie e un medaglione centrale, che ospitava un tempo un affresco di san Giuseppe, mentre al di sopra si apre una vetrata policroma. Corona la facciata un frontone con una semicurva. L'interno è arricchito da preziosi decori e dagli affreschi seicenteschi di Giovan Battista Del Sole. Tra i legni intagliati dell'iconostasi vi è una pregevole statua lignea della Madonna del 1617. Le pareti del coro furono affrescate da Giovanni Battista Ronchelli di Castello Cabiaglio, che aveva lavorato anche nel Salone Estense; nella parete centrale del coro si trova una bella tela della prima metà del Seicento, attribuita a Giulio Cesare Procaccini. La volta del coro fu affrescata invece da Melchiorre Gherardini.
Camminiamo ora
sotto i portici sul lato dx di C.so Aldo Moro, attraversiamo sulle strisce
pedonali ed entriamo in Via Bagaini.
Dopo 30 mt alla nostra dx si erge l’ Ex Gran Cinema Vittoria (7).
Inaugurato il 17 luglio del 1917, il Gran Cinema Vittoria di Via Bagaini ha intrattenuto generazioni di varesini fino al 2006. Fu commissionato dall’imprenditore milanese Alfonso Bernasconi che aveva intuito il potenziale economico dell’industria cinematografica emergente ed è l’unico in città ad aver mantenuto la sua forma originale, senza subire modifiche significative. La facciata è imponente con il fregio in pietra scolpito sul frontone. La sala aveva 400 poltroncine, tra platea e balconata e lo spazio per l’orchestrina che accompagnava lo scorrere delle pellicole negli anni del muto.
Andiamo ora a
sx sul pavè di Via Cimarosa fino ad arrivare in “P.za Battistero” : qui è
situato il “Battistero di San Giovanni Battista”.
L’edificio attuale risale al XII-XIII secolo ed è stato costruito su un precedente battistero di pianta esagonale, eretto nel VII-VIII secolo. Della primitiva struttura rimane tuttavia solo la vasca battesimale a immersione. Il battistero ha una pianta rettangolare, creata dall’unione di due aule quadrangolari. La facciata, a capanna, è rivestita in pietra chiara e incorniciata da due lesene. Il portale d’ingresso, leggermente strombato, è sormontato da un affresco a lunetta rappresentante la Madonna col Bambino e San Giovanni Battista. Ai lati si trovano due grandi monofore mentre in alto un oculo centrale e una statua del Santo. Al centro dell’aula si trova la grande vasca monolitica di forma ottagonale risalente al XIII secolo. Rivestita con dei bassorilievi, la fonte è giunta incompleta ma è comunque ritenuta uno dei capolavori del battistero. Tra i dettagli ricordiamo i volti, il panneggio delle vesti e il particolare del cartiglio in mano all’Apostolo Simone. L’antica fonte battesimale scavata nel pavimento è visibile sotto la vasca. Sulla parete meridionale si trova il grandioso affresco con le due teorie dei santi sovrapposte, attribuite al Maestro della Tomba Fissiraga. Dello stesso artista è anche la Crocifissione sull’arco trionfale. Il presbiterio, leggermente sopraelevato, conserva ulteriori tracce di affreschi. Sulla parete sinistra è riconoscibile una “Madonna del latte”, datata al 1320. Al centro spicca la cinquecentesca pala d’altare raffigurante San Giovanni Battista, San Vittore e la Madonna che allatta il Bambino.
Entriamo nel vicoletto sulla sx del Battistero fino a giungere in P.za Canonica dove andiamo a sx fiancheggiando la Basilica di San Vittore Martire pervenendo in Piazzetta S. Lorenzo.
Giungiamo così in “P.za San Vittore” (8), centro spirituale e storico di Varese, ospita l’imponente “Basilica di San Vittore” ed il “Campanile del Bernascone”.
La “Basilica di San Vittore”, al centro dell'antico borgo medievale, è chiusa tra palazzi settecenteschi, ottocenteschi e novecenteschi. Edificata tra il XVI e il XVII secolo su una precedente chiesa, forse romanica, la “Basilica di San Vittore” è il risultato di diversi interventi strutturali. Nel 1542 fu eretto il presbiterio mentre l’aula fu eretta tra il 1589 e 1625 sotto la direzione di Giuseppe Bernascone. La facciata in stile neoclassico, ridisegnata da Leopoldo Pollack sul finire del XVIII secolo, è a salienti. Racchiuso tra colonne ioniche si trova il portale d’accesso ad arco a tutto sesto, con due figure angeliche sui pennacchi, realizzate da Lodovico Pogliaghi. Gli ingressi laterali sono invece decorati con lesene ioniche. Dopo un alto cornicione, con la dedica al patrono, si apre una vetrata policroma a lunetta raffigurante San Vittore Martire. Corona la facciata un timpano triangolare. La basilica si presenta con una pianta a croce latina con tre navate, abside semicircolare e grande cupola a intersezione del transetto. Sono visibili i volumi aggiunti successivamente per creare le navate, le cappelle laterali e la sacrestia posta sul lato destro del presbiterio.
Sulle pareti si trovano pregevoli opere d'arte: nella prima cappella a destra si trova “La messa di San Gregorio Magno” tela di Giovan Battista Crespi detto il Cerano. In quella successiva vi è il simulacro in legno policromo della “Madonna Addolorata” del XVI secolo. Nel transetto sinistro è situata la “Cappella del Rosario” che conserva il paliotto ligneo del 1702 realizzato da Bernardino Castelli e un'icona mariana del 1400. La cappella contiene preziosi affreschi di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone. L'altare maggiore è posto nel presbiterio ed è stato realizzato dai fratelli Buzzi di Viggiù in marmi policromi. L'attuale altare è in marmo bianco di Candoglia ed è un'opera di Floriano Bodini, artista del secondo Novecento originario di Gemonio. Le pareti del coro sono decorate con scene del martirio di San Vittore del pittore varesino Salvatore Bianchi. Nella cappella della Maddalena spicca la tela del Morazzone: la “Maddalena portata in cielo dagli angeli” e, nella predella, il “Cristo ortolano” che riprende l'episodio evangelico di Gesù risorto, scambiato per un ortolano.
Accanto alla
basilica trova posto la torre campanaria, chiamata dai
varesini “Bernascone”.
L’alto campanile, progetto del Bernascone, fu costruito a più riprese tra l’inizio del Seicento e la fine del Settecento. Dopo un massiccio basamento si alternano le decorazioni in granito grigio delle valli ossolane e in mattoni d’argilla: dal basso sono riconoscibili quattro lucernari, ampie nicchie ad arco sormontate da finestre e i quadranti dell’orologio, affiancati da teste di leone. Sopra la cella campanaria è posta una lanterna ottagonale, a sua volta sormontata da una cupola rivestita in rame. La torre è un importante esempio del tardo manierismo ed è l’edificio più alto di Varese.
Usciti dalla
P.za passiamo sotto l’ Arco Mera (9).
Inaugurato il 5 dicembre 1850, questo elegante passaggio non è solo un importante punto di collegamento urbano tra P.za San Vittore e P.za del Podestà, ma anche un simbolo di generosità e di connessione tra il potere civile e quello religioso. L'Arco Mera deve il suo nome al canonico Luigi Mera di San Vittore, che, nella metà del XIX secolo, decise di donare alla città questo monumento. Mera acquistò l’edificio che ospitava il Caffè Tachini, un caffè di rilevanza sociale e culturale dell'epoca, per trasformarlo in un passaggio che collegasse il Palazzo Pretorio, sede comunale, con P.za San Vittore, cuore pulsante della vita religiosa di Varese. La costruzione dell'Arco iniziò il 25 maggio 1850 e il progetto fu completato con grande attenzione ai dettagli architettonici. L'Arco è caratterizzato da eleganti pilastri in pietra di Viggiù e da statue che sovrastano l'entrata, riflettendo l'arte e la maestria dell'epoca. Di notevole interesse il soffitto a volta su cui sono riprodotti i segni zodiacali. Nel dopoguerra, l'Arco Mera ha assunto anche un significato commemorativo. Le pareti interne dell'Arco sono state adornate con otto lastre di marmo, sulle quali sono incisi i nomi dei caduti varesini di tutte le guerre, dalle campagne coloniali alla Seconda Guerra Mondiale e dei combattenti decorati.
Perveniamo così
nel celebre “C.so Matteotti” (13).
Il Corso, dalla caratteristica e locale pavimentazione in porfido rosa di Cuasso, attraversa il centro storico della città. Presenta le tipiche case a lista con una divisione degli spazi ben definita: al piano terra la bottega con il portico antistante per l'esibizione della merce poi l'abitazione divisa tra il primo e il secondo piano, mentre i servizi si trovavano separati sul retro. Il terzo piano verrà innalzato solo negli anni successivi. In passato era la via principale del borgo, ora è zona pedonale con caffé ed eleganti negozi.
Alla nostra sx
si apre “P.za del Podestà” (10) : questa storica Piazza è circondata da edifici
antichi, tra cui il prestigioso “Palazzo del Pretorio”, che rispecchia
l'importanza del magistrato medievale della città ed il “Palazzo Biumi”.
Al centro della piazza, a metà del Corso Matteotti, si trova il monumento in bronzo dedicato al “Garibaldino”, realizzato nel 1901 dallo scultore viggiutese Luigi Buzzi Leone (copia dell'originale in marmo del 1861 oggi conservato nella ex Caserma Garibaldi).
Su un basamento
è posta la statua di un garibaldino che, mentre corre in battaglia con la bocca
semiaperta, tiene la bandiera nella mano destra ed un fucile in quella
sinistra. Sul davanti appoggiata al basamento c’è una lastra commemorativa in
cui, sotto il profilo dell’eroe dei due mondi posto tra due foglie di alloro,
si ricorda la vittoria di Garibaldi e dei suoi Cacciatori delle Alpi nella
battaglia del 26 Maggio 1859.
Il “Palazzo del
Pretorio” è una delle poche testimonianze del passato comunale della città,
resistito al progetto di urbanizzazione posto in essere all'inizio del
Novecento. Il palazzo fu sede del pretorio e quindi del municipio di Varese per
più di trecento anni, fino al 1882, anno del trasferimento a Palazzo Estense. La sua edificazione voluta dalla comunità nel 1566, comincia nel 1570. La piccola
campana sul tetto viene collocata nel 1589 : serviva a
convocare la popolazione in caso di riunioni d'interesse generale, a segnare
l'ora del coprifuoco o di chiusura delle osterie. L'interno del palazzo mantiene tutt'oggi la forma
originale cinquecentesca, mentre la facciata esterna e il porticato sono frutto
di un restauro ottocentesco.
Il “Palazzo
Biumi” (11), posto a fianco del “Palazzo del Pretorio”, è ricordato dalle fonti
storiche come esistente sin dal Trecento quando la proprietà appare già legata al nome dei Biumi, famiglia
della più antica nobiltà varesina. Venne ampliato tra l'ultimo decennio del XVI
ed il secondo decennio del XVII secolo con la realizzazione del porticato con
arcate a tutto sesto poggianti su colonne doriche; mantiene ancor oggi i
balconi originali in ferro battuto bombato ed anche il portale, che presenta
teste leonine intagliate.
Attraverso
questo portone si accede all’acciottolato “Cortile del Broletto” (12),
riservato un tempo al giardino e agli orti. Qui, nell’800, vi si teneva anche
il mercato delle granaglie. Il cortile è attorniato da porticati formati da
arcate a tutto sesto poggianti su colonne doriche. La facciata interna è
decorata con medaglioni dipinti con alcuni ritratti, oggi purtroppo poco
visibili.
Dopo aver sostato nel cortile, torniamo ora in P.za Podestà e proseguiamo a sx lungo “C.so Matteotti” (13) per 170 mt, al civico 53 troviamo il portone di accesso all’ Ex Monastero di Sant’Antonino (14).
Da qui si accede al cortile o chiostro tardo rinascimentale percorso da un porticato ad archi, retti da colonne binate probabilmente realizzate su progetto del Bernasconi; lungo il porticato sono visibili stralci di affreschi. Il complesso era un convento di monache benedettine trasferite da Luvinate a Varese nel 1571 per volere del cardinale Borromeo, convento poi soppresso nel 1789 dall'Imperatore Giuseppe II. Sul lato posteriore, lungo l'attuale Via Veratti, sorge il refettorio del monastero, oggi “Sala Veratti”, decorata da affreschi del XVII-XVIII secolo. I busti affrescati dei Profeti e delle Sibille sono opera di Pietro Antonio Magatti, importante pittore varesino.
Usciamo dal cortile ed al termine di C.so Matteotti perveniamo in “P.za Carducci” (15).
Proseguiamo
verso dx in Via San Martino della Battaglia, al civico 6 un bel portone immette
in un androne dove possiamo ammirare la sede dell’ex Premiato Biscottificio
(16).
Il biscottificio Rossini (questo il nome iniziale dell’azienda) è noto anche per aver dato i natali a una delle più longeve e amate aziende alimentari della città: il caramellificio “Mera&Longhi“, nato nel lontano 1896, proprio in quel cortile di Via San Martino, grazie all’iniziativa di Pietro Mera. Nata come biscottificio, aveva un piccolo laboratorio nel cortile sul retro, dove i Mera hanno iniziato a produrre le caramelle a mano, prima di spostarsi in via Maspero e poi nella sede attuale di Casale Litta.
Alla fine di
Via San Martino della Battaglia giungiamo in “P.za Cacciatori delle Alpi”,
sulla dx troviamo la “Chiesa di S. Martino” (17).
La semplice Chiesa ha un bel portale cinquecentesco in pietra, sovrastato dallo stemma della famiglia Orrigoni. È ad aula unica con volta inquadrata dalle architetture dipinte dai fratelli Giovannini. Al centro della volta si trova l'affresco raffigurante la “Gloria di San Martino”, opera del giovane Pietro Antonio Magatti. Ai due lati della navata vi sono gli affreschi di Francesco Maria Bianchi: a sinistra, Il martirio di San Lorenzo e, a destra, Il martirio di San Bartolomeo.
Protagonista della Piazza è
l’imponente “Palazzo del Tribunale” (18).
Il Palazzo di Giustizia, così come oggi lo vediamo, ebbe la sua genesi nella volontà corale della città di dotarsi di servizi e strutture più confacenti con il nuovo ruolo di capoluogo di provincia. Nel fervore di opere che ne seguì, il progetto del nuovo Tribunale venne affidato nel 1929 all’Arch. Vittorio Ballio Morpurgo.
La sede del
nuovo Tribunale venne scelta quasi simbolicamente nei pressi di quella piazza
del Cappello, oggi Beccaria, storicamente utilizzata per le esecuzioni
capitali. La stessa piazza, oggi comunemente detta del Tribunale, in origine
aveva assunto la denominazione di Piazza Cacciatori delle Alpi a motivo del “Monumento
al Garibaldino” che vi era stato realizzato nel 1867 dallo scultore viggiutese
Luigi Buzzi Leone, poi spostato in Piazza del Podestà (o appunto del
Garibaldino). Sullo stesso sito erano storicamente collocate le scuole maschili
ed il Liceo, ma l'edificio venne demolito per far luogo al nuovo Tribunale,
procedendo nel contempo a un risanamento dell'intero comparto urbano. Il
Palazzo è stato ripristinato ed ampliato su progetto di Pierguido Fagnoni e di
Franco Guerrieri tra il 1990 e il 1998. Il Palazzo si presenta oggi con pianta
rettangolare, in stile eclettico e con richiami al neoclassico. La facciata in
mattoni rossi è scandita dalla cornice marcapiano e dalle lesene angolari in
pietra bianca. Al centro si trova l’importante ingresso, leggermente strombato,
che sostiene il balconcino del primo piano. Corona la superficie un grande
timpano spezzato, con balaustra in pietra e stemma delle città di Varese al
centro. Sul fianco destro e sopra il tribunale si trovano altri corpi di
fabbrica, aggiunti successivamente; in stile moderno sono rivestiti di
laterizi, richiamando la facciata, ma si distinguono per le numerose vetrate. All’interno
del Tribunale si conservano due imponenti affreschi allegorici, che
rappresentano “La Legge e La Giustizia”. Più recenti sono i murales dell’urban
artist Andrea Ravo Mattoni : l’allegoria della “Pace e Giustizia” di Corrado
Giaquinto, pittore napoletano del Settecento e un dipinto dedicato ad Artemisia
Gentileschi.
Nel piazzale antistante il Tribunale trova posto “L'antropotauro e la sua donna” di Salvatore Fiume, collocato nel dicembre 2012 in memoria dell'imprenditore e benefattore varesino Luigi Orrigoni.
Percorriamo a ritroso Via San Martino della Battaglia fino a raggiungere di nuovo “P.za Carducci” (15), continuiamo verso sx fino ad imboccare Via Albuzzi : all’angolo con Vicolo Perabò troviamo le “Case Perabò” (19).
Il complesso risale al XIV secolo e costituiva storicamente la zona residenziale dei mercanti varesini, collocata nel centro città, principalmente in quella che oggi è Via Albuzzi. È un complesso cortilizio ordinato, al quale si accede da un ampio portone cinquecentesco posto sul lato destro della facciata, sotto la finestra monofora gotica in cotto. L'esterno dell'edificio si presenta molto semplice e sobrio, ma una volta all’interno troviamo vestigia del passato di una delle più importanti famiglie della città di Varese tra XIII e XIV secolo. Da notare gli affreschi sulla volta di entrata alla corte che dà su via Griffi, l'albero genealogico e lo stemma araldico della Famiglia Perabò visibile sul pavimento in acciottolato con un bue sormontato da un gruppo di tre pere fogliate.
Proseguiamo in
Vicolo Perabò per 50 mt e ci immettiamo in “P.za Giovine Italia” (20) che
percorriamo verso dx.
La piazza, oggi pedonale, ha ospitato per secoli il primo ospedale del borgo ed è stata sede del “Teatro Sociale” di Varese. Il teatro, di impronta neoclassica, fu progettato dall’Arch. Ottavio Torelli ed inaugurato il 6 ottobre 1791. Attivissimo durante tutto l’Ottocento cominciò la decadenza nei primi anni del Novecento. Dopo un lungo periodo d’incuria ed abbandono fu abbattuto il 18 settembre 1953. Dalla piazza si gode la vista del “Bernascone” che sovrasta gli edifici.
Andiamo quindi a dx in Via Carlo Croce per 90 mt e giungiamo di nuovo in C.so Matteotti (13) che attraversiamo per raggiungere a sx Via Francesco del Cairo; attraversiamo sulle strisce pedonali di Via Veratti e continuiamo nella zona pedonale di Via Francesco del Cairo per 60 mt.
Nell’angolo sx troviamo la “Piazzetta Liala” (21).
La piazzetta è dedicata dal 2002 alla scrittrice “Liala”, fra le più amate autrici di romanzi d’appendice del XX secolo morta a Varese nel 1995. Il vero nome era Amalia Liana Negretti Odescalchi Cambiasi mentre lo pseudonimo le fu attribuito da Gabriele D’ Annunzio. Nel “giardinetto” sono collocate targhe metalliche con alcune frasi tratte dai suoi libri, una originale panchina circolare, una rastrelliera a forma di libro per le biciclette, cestini a forma di ombrello ed una fontanella (questi ultimi decorati dalla giovane artista Gaia Lonati). Gli arredi urbani prospicienti la Via Robbioni sono stati invece dipinti dall’artista Chicco Colombo, sempre ispirandosi ai romanzi di Liala.
Procediamo a sx in Via Robbioni che ospita su alcuni
muri opere degli street artists Seacreative, Melì e Joo (Gioele Bertin).
Raggiungiamo Via Sacco dove attraversiamo sulle strisce pedonali ed andiamo verso dx sull’ampio marciapiede che fiancheggia “Palazzo Estense” per 30 mt, entriamo dall’ingresso pedonale a fianco della Biblioteca Civica. Dopo 50 mt percorriamo il vialetto che ci riporta al Parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto.
Nella
galleria fotografica alla fine del post troverete tutte le foto dei luoghi
visitati.
Lunghezza percorso : circa 3,5 km
escluso deviazioni
Tempo di
percorrenza : 1 ora e 10 minuti circa escluse soste e deviazioni per visite più
approfondite dei punti di interesse
Aggiornato a novembre 2024
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